Aggressività del cancro prostatico, nuovo test genetico predittivo

Un test genetico in grado di predire l’aggressività di un cancro della prostata ed evitare interventi chirurgici non necessari. Lo ha sviluppato un’azienda Usa e i primi dati clinici, presentati alla conferenza 2013 del National cancer research institute britannico, sono promettenti. «Abbiamo sviluppato una firma di espressione composta da 31 geni di progressione del ciclo cellulare (Ccp)» ha spiegato Dan Berney, della Queen Mary University of London, primo autore della ricerca. Dalla media di tali geni è stato ricavato uno score Ccp, testato al momento della diagnosi in due coorti gestite in modo conservativo (n=337 e 349), in altre due dopo prostatectomia radicale (n=366 e 413) e in un’altra dopo radioterapia (n=141). «Il test è risultato altamente predittivo riguardo all’outcome del cancro prostatico nelle diverse coorti e nei differenti setting clinici» ha sottolineato Berney. «Se i risultati verranno confermati, sarà possibile valutare ciò che oggi è impossibile sapere» commenta Giuseppe Martorana, presidente della Società italiana di urologia (Siu) e direttore dell’Urologia Sant’Orsola Malpighi di Bologna, annunciando che «a breve sarà avviata una multicentrica europea alla quale parteciperanno vari centri italiani». Da tempo è noto che esistono tumori della prostata indolenti, ricorda Martorana, in quanto se ne riscontrano molti in sede autoptica (in maggior misura con l’aumentare dell’età) in persone decedute per altre cause e che non hanno mai avuto segni o sintomi correlabili al cancro. «Negli ultimi 20 anni si è imposto il Psa, marker che in caso di variazioni induce ad approfondimenti e alla biopsia che, se positiva, “costringe” a effettuare un trattamento».  Negli ultimi anni però, è stato sviluppato un protocollo di sorveglianza attiva – sottolinea Martorana, uno dei principali fautori – che prevede, alla diagnosi, la stratificazione dei pazienti per classi di rischio sulla base di alcuni indicatori. Se il rischio è molto basso i pazienti non sono sottoposti a trattamento ma seguiti con molta attenzione. «Ora sappiamo che il 50% di questi soggetti a 7 anni non è stato operato» afferma il presidente Siu. «Si tratta però di un modo indiretto di sapere che il tumore non è aggressivo. Con il nuovo test, se si confermerà affidabile, potremo stabilire a monte se il paziente deve essere operato o meno».

Arturo Zenorini

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