Ictus criptogenici da tachiaritmie atriali subliniche

I pazienti con periodi di tachiaritmia atriale subclinica – senza fibrillazione atriale (Fa) clinica – rilevati frequentemente dai loro pacemaker, sono significativamente associati a un rischio maggiore di ictus ischemico o di embolia sistemica. Questo dato sembra supportare il concetto che la Fa subclinica sia spesso alla base di un ictus criptogenico. È la tesi sostenuta da Jeff S. Healey, della McMaster university di Hamilton (Canada) sulla base dei risultati ottenuti in uno studio condotto – insieme al team internazionale dei ricercatori Assert (Asymptomatic Atrial Fibrillation and Stroke Evaluation in Pacemaker Patients and the Atrial Fibrillation Reduction Atrial Pacing Trial) – su 2.580 pazienti, di età =/>65 anni, con ipertensione e senza storia di Fa, nei quali era stato recentemente impiantato un pacemaker o un defibrillatore. I soggetti sono stati monitorati per 3 mesi allo scopo di rilevare eventuali tachiartmie (episodi di frequenza atriale >190 bpm per più di 6 minuti) e seguiti per una media di 2,5 anni allo scopo di valutare l’outcome primario rappresentato da ictus ischemico o embolia sistemica. Nei primi 3 mesi sono state segnalati dai device tachiaritmie subliniche atriali in 261 pazienti (10,1%), risultate associate a un aumentato rischio di fibrillazione atriale clinica (Hr: 5,56) e di ictus ischemico o embolia sistemica (Hr: 2,49). Dei 51 soggetti che hanno subito un evento primario, 11 avevano avuto una tachiaritmia subclinica atriale entro 3 mesi mentre nessuno aveva avuto una Fa clinica nello stesso periodo. Il rischio di ictus o embolia sistemica attribuibile alla popolazione associata a tachiaritmia atriale subclinica è risultata del 13%. Quest’ultima si è mantenuta predittiva di outcome primario dopo aggiustamento per i fattori predittivi di stroke.

N Engl J Med, 2012; 366(2):120-9

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