Stress percepito e infarto del miocardio

22 Mar 2013 Cardiologia

Uno stress percepito di livello da moderato a elevato nei pazienti che subiscono un infarto acuto del miocardio (acute myocardial infarction, AMI) è associato a outcome molto negativi nel lungo periodo. Lo rivela uno studio pubblicato dal Journal of the American College of Cardiology.

Si ritiene che lo stress cronico contribuisca allo sviluppo e alla progressione delle patologie cardiovascolari e ai tassi di decessi cardiovascolari. Il meccanismo alla base di tale associazione è di natura complessa e include fattori comportamentali (fumo, sedentarietà, obesità, mancanza di aderenza alle terapie farmacologiche) e fisiologici (ipertensione, aritmie, insulinoresistenza, disfunzione endoteliale, aumento dell’aggregazione piastrinica). Numerosi sono stati quindi gli studi su stress e salute cardiovascolare: sono pochi però i trial che hanno valutato l’impatto negativo dello stress cronico sui pazienti reduci da un AMI.

Per chiarire l’associazione tra stress cronico percepito (validato mediantela Perceived StressScale-4, PSS, che va da0 a16), outcome clinici e mortalità, i ricercatori della Washington University di St. Louis coordinati da Suzanne V. Arnold hanno preso in esame una coorte di 4204 pazienti (età media 59 anni) colpiti da infarto acuto del miocardio ricoverati tra 2005 e2008 in24 ospedali statunitensi e arruolati nello studio TRIUMPH (Translational Research Investigating Underlying disparities in acute Myocardial infarction Patients’ Health status). In tutti i pazienti erano presenti evidenza da biomarker di necrosi del miocardio, diagnosi di AMI, sintomi ischemici prolungati (≥20 min) o cambiamenti del tratto ST nelle prime 24 ore di ricovero. Di questi 4204 pazienti, 1622 (38,6%) avevano mostrato livelli di stress percepito da moderati a elevati nelle 4 settimane precedenti l’AMI (score da6 a16). Tra quelli con i livelli di stress percepito più elevati sono risultati più numerosi i pazienti giovani, di sesso femminile, non coniugati, non caucasici, con scarso supporto sociale e bassa scolarizzazione, con ipertensione, diabete, depressione, obesità e abitudine al fumo. Dopo un follow-up di 1 anno lo stato di salute dei pazienti in vita è stato monitorato mediante Seattle Angina Questionnaire, Short Form-12 ed EuroQol Visual Analog Scale.

Nei 2 anni successivi alla dimissione 432 pazienti (10,3%) sono deceduti e i pazienti con stress percepito da moderato a lieve hanno mostrato tassi di mortalità più elevati rispetto agli altri (12,9% vs. 8,6%; log-rank test, p < 0,001). I livelli di stress percepito nei 2 anni successivi all’evento cardiaco sono risultati associati ad un aumento del rischio di morte (hazard ratio: 1,79; 95% CI da1,48 a2,16; p < 0,001). Livelli di stress da moderato a elevato sono risultati associati poi a peggiori outcome dopo 1 anno di follow-up: peggioramento dell’angina (95% CI: da1,14 a1,75; p = 0,001), peggiore qualità di vita, peggiore status psicofisico.

Spiegala Arnold: “Saranno studi futuri a dimostrarci se nuovi interventi mirati a ridurre lo stress cronico potrebbero avere un impatto positivo sugli outcome clinici post-AMI”.

▼ArnoldSV, Smolderen KG, Buchanan DM, Li Y, Spertus JA. Perceived Stress in Myocardial InfarctionLong-Term Mortality and Health Status Outcomes. J Am Coll Cardiol 2012;60(18):1756-1763 doi:10.1016/j.jacc.2012.06.044 

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