Parkinson. Dall’Iss la linea guida aggiornata sulla malattia

Le nuove raccomandazioni riguardano i criteri diagnostici, le possibili terapie, ma anche, per la prima volta, le questioni riguardanti i possibili trattamenti  neurochirurgici e l’utilizzo delle staminali.

27 MAG – E’ stata presentata oggi all’Istituto superiore di sanità la nuova “Linea guida sulla diagnosi e terapia della malattia di Parkinson”. Si tratta sia di un aggiornamento della versione pubblicata nel 2010 dallo Scottish intercollegiate guidelines network (Sign) per la diagnosi e i trattamenti farmacologici, sia della valutazione, per la prima volta, in una visione di sanità pubblica, delle questioni inerenti l’opportunità di un trattamento riabilitativo, chirurgico e di una terapia a base di cellule staminali. La Linea guida è inserita nell’ambito del Sistema nazionale linee guida ed è il  frutto del lavoro di collaborazione tra l’Iss e la Lega italiana per la lotta contro la malattia di Parkinson, le sindromi extrapiramidali e le demenze (Limpe), e di altre 13 società scientifiche (mediche e di altri professionisti sanitari) e delle due associazioni di familiari e pazienti.  Questa linea guida costituisce il primo innovativo documento con una serie di raccomandazioni rivolte agli operatori sanitari impegnati nella gestione del paziente affetto da Parkinson.

“Abbiamo tracciato, per la prima volta, un possibile percorso diagnostico assistenziale del paziente affetto dalla malattia di Parkinson – ha affermato Nicola Vanacore, neuroepidemiologo dell’Iss –  offrendo così un primo tassello per lo sviluppo, nel nostro Paese, di un sistema integrato nella gestione di questa patologia, che chiama in causa, nelle sue diverse fasi, numerosi professionisti: dal neurologo al medico di medicina generale, dal geriatra al fisiatra, dal neurofisiologo al neurochirurgo, dallo psichiatra all’ortopedico e molti altri”.

I trattamenti neurochirurgici. La malattia di Parkinson conduce ad una progressiva disabilità motoria con relativa perdita di indipendenza, isolamento sociale, rischio di cadute e traumi. C’è poi tutto un corredo di sintomi non motori: compromissione di alcune funzioni cognitive, dell’attenzione, del linguaggio. Le tecniche riabilitative prescritte (fisioterapiche, logopediche e occupazionali) necessitano tuttavia di essere sottoposte ad una procedura di standardizzazione e valutazione in modo da favorirne la trasferibilità dal mondo della ricerca alla pratica clinica corrente.
In pazienti gravemente compromessi dal punto di vista motorio e che non rispondono ai trattamenti farmacologici, è possibile ricorrere a trattamenti chirurgici di due tipi: gli interventi di lesione e quelli di stimolazione cerebrale profonda. Entrambi prevedono l’inserimento di un elettrodo in determinate aree cerebrali che nel primo caso va a cauterizzare le cellule target per poi essere rimosso, mentre nella stimolazione cerebrale profonda il pacemaker cerebrale viene posizionato in una specifica area del cervello e qui lasciato allo scopo di emettere costantemente un impulso elettrico. Non mancano tuttavia le criticità connesse a tale operazione: dalla scelta del target di stimolazione alle possibili complicanze intra e post operatorie.

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