Nessun legame tra vitamina D e calcoli renali

Alti livelli sierici di 25-idrossivitamina D non aumentano il rischio di calcoli renali. Ecco le chiare e telegrafiche conclusioni di uno studio pubblicato sull’American journal of public health coordinato dai ricercatori del Department of family and preventive medicine dell’università di San Diego a La Jolla, in California. «L’aumento dei livelli di vitamina D può prevenire una vasta gamma di malattie, ma alcuni studi suggeriscono che l’aggiunta alla dieta di vitamine del gruppo D, attivate per doppia idrossilazione a calcitriolo, potrebbe aumentare il rischio di calcoli renali» esordisceCedric Garland, professore di medicina preventiva e familiare a La Jolla. Per dirla in altri termini, diversi studi indicano che il rischio di sviluppare una vasta gamma di malattie tra cui cancro al seno, cancro del colon-retto, sclerosi multipla e diabete di tipo 1 si riduce in presenza di livelli sierici di 25-idrossivitamina D tra 40 e 60 nanogrammi per millilitro (ng/ml), peraltro difficili da raggiungere senza un’adeguata supplementazione dietetica. «GrassrootsHealth, un’organizzazione senza scopo di lucro che gestisce interventi di salute pubblica di grandi dimensioni ha assemblato un database che include informazioni su livelli ematici di vitamina D, caratteristiche demografiche e stato di salute di 5.552 soggetti che assumono supplementi giornalieri medi pari a 3.600 unità internazionali di vitamina D, mantenendo livelli sierici compresi tra 20 e 100 ng/ml, con una media di 45, superiori quindi a quelli della maggior parte degli individui» spiega Garland, che per il suo studio ha selezionato da questa coorte 2.012 soggetti seguendoli in modo prospettico per circa 19 mesi. «Tredici partecipanti hanno sviluppato calcoli renali durante il follow-up, e un’analisi di regressione logistica multivariata è stata usata per valutare l’associazione tra valori di vitamina D e calcoli renali» sottolinea il ricercatore. Ma nessun legame è emerso tra 25-idrossivitamina D e calcolosi renale, che invece ben si correlava con l’indice di massa corporea, l’età avanzata e il sesso maschile. 

Am J Public Health. Published online ahead of print October 17, 2013:e1–e5. DOI:10.2105/AJPH.2013.301368

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