Sigmoidoscopio flessibile efficace in screening del ca colorettale

3 Ago 2012 Oncologia

Lo screening del cancro colorettale effettuato mediante sigmoidoscopio flessibile è associato a una significativa riduzione di incidenza della neoplasia (a livello del colon sia prossimale che distale) e di mortalità (solo a livello del colon distale). È l’esito di un ampio studio nordamericano che ha coinvolto, dal 1993 al 2001, 154.900 persone tra uomini e donne, di età compresa tra 55 e 74 anni, assegnate in modo randomizzato allo screening con ripetizione dell’esame con sigmoidoscopio flessibile, a 3 o a 5 anni, oppure ad assistenza tradizionale. Su 77.445 partecipanti assegnati al gruppo intervento, l’83,5% è stato sottoposto a screening basale e il 54% a screening a 3 o a 5 anni. L’incidenza della neoplasia, dopo un follow-up medio di 11,9 anni, è stato di 11,9 casi per 10.000 persone-anno nel gruppo intervento rispetto a 15,2 casi nel gruppo cure standard, corrispondenti a una riduzione del 21%. Riduzioni significative di incidenza sono state osservate nel gruppo intervento rispetto al controllo sia in relazione al cancro colorettale distale (479 vs 699 casi) che prossimale (512 vs 595 casi). Si sono registrati 2,9 decessi per ca colorettale in 10,000 persone-anno nel gruppo intervento, contro 3,9 nei controlli, equivalenti a una diminuzione del 26%. In particolare, la mortalità da cancro colorettale distale si è ridotta del 50% (87 vs 175, rispettivamente), mentre quella prossimale non è rimasta influenzata dallo screening.

N Engl J Med, 2012 May 21. [Epub ahead of print]

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Nuovo marker prognostico per il cancro mammario

23 Lug 2012 Oncologia

Il riscontro di elevati livelli solubili di molecola di adesione cellulare dei leucociti attivati (sAlcam) nel siero di donne con cancro mammario indica un comportamento tumorale più aggressivo ed è un fattore indipendente di prognosi peggiore. Lo ha verificato il gruppo di Isabell Witzel, del Centro medico universitario di Amburgo-Eppendorf (Germania). Per giungere a questo dato, il team ha analizzato i livelli di sAlcam nel siero di 157 pazienti con cancro primario della mammella e di 48 donne sane. Inoltre, mediante altre analisi (Western blot, cDna microarray), si è valutata l’espressione proteica e del mRna dell’Alcam (frazione non solubile) nel tessuto tumorale delle pazienti corrispondenti. Si è così verificato che i livelli di sAlcam sono differenti tra pazienti e soggetti sani (media: 24,2 vs 18,9 ng/ml). Non si è invece osservata alcuna correlazione tra livelli sierici di sAlcam ed espressione proteica o ribonucleica di Alcam nei tumori corrispondenti. Infine, se i livelli di sAlcam non sono risultati correlati con il tipo istologico, il grado e lo stadio tumorale o l’età del paziente, elevati valori di sAlcam sono apparsi comunque associati a una ridotta sopravvivenza libera da malattia (hazard ratio: 1,97).

Oncology 2012;82:305-312

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Sartani e rischio tumori: nessun legame confermato

23 Lug 2012 Oncologia

L’utilizzo degli antagonisti del recettore dell’angiotensina non è associato a un aumento del rischio complessivo di tumori. Si nota solo un lieve aumento di rischio per il cancro della mammella e della prostata, ma la mancata correlazione con la durata del trattamento non rende possibile l’esclusione di spiegazioni non causali. È l’esito di una ricerca condotta utilizzando i database delle prescrizioni effettuate dalla medicina primaria inglese – sotto la supervisione di Krishnan Bhaskaran della London school of hygiene and tropical medicine – su 377.649 nuovi utilizzatori di sartani oppure di Ace-inibitori con almeno un anno iniziale di trattamento, messi a confronto tra loro. Il follow-up è stato concluso dopo una media di 4,6 anni a partire dall’inizio del trattamento; si sono osservati 20.203 casi di cancro. Non si è rilevata alcuna evidenza di aumento globale di rischio di malattia neoplastica tra i soggetti mai esposti ai sartani (hazard ratio, Hr: 1,03). Per alcune forme specifiche di cancro, si è rilevata qualche prova di un rischio maggiore; è il caso del cancro mammario (Hr: 1,11) e prostatico (Hr: 1,10); valori di rapporto di rischio che, in termini assoluti, corrispondevano a una stima di 0,5 e 1,1 casi in più, rispettivamente, per 1.000 persone/anno di follow-up tra quanti presentavano la più alta linea basale di rischio. Una maggiore durata del trattamento non è sembrata associarsi a un rischio più elevato. Si è avuto invece un minore rischio di cancro polmonare, e non si è rilevato alcun effetto sul cancro del colon.

BMJ, 2012; 344:e2697

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Ca tiroideo a basso rischio, esiti di due strategie ablative

21 Lug 2012 Oncologia

L’ablazione del tessuto tiroideo residuo mediante l’impiego di tireotropina ricombinante umana o radioiodio postoperatorio a basse dosi può essere sufficiente per la gestione del cancro tiroideo a basso rischio. È la conclusione di uno studio multicentrico francese di fase 3 – coordinato da Martin Schlumberger, del servizio di Medicina nucleare e Oncologia endocrina dell’université Paris Sud, a Villejuif – in cui sono stati messi a confronto due metodi di stimolazione della tireotropina (sospensione dell’ormone tiroideo e impiego di tireotropina umana ricombinante) e due differenti dosaggi di radioiodio (1,1 Gbq e 3,7 Gbq di iodio-131) in un disegno sperimentale 2×2. I criteri di inclusione adottati sono stati: età =/>18 anni; tiroidectomia totale per carcinoma differenziato della tiroide; stadio Tnm, accertato con esame anatomopatologico su campione chirurgico, pT1 (con diametro tumorale =/<1 cm) e N1 o Nx, pT1 (con diametro tumorale >1 cm fino a 2 cm) e N a qualunque grado, o pT2N0; assenza di metastasi a distanza; assente contaminazione da iodio. L’ablazione tiroidea è stata valutata 8 mesi dopo la somministrazione di radioiodio tramite ecografia del collo e misurazione della tireoglobulina stimolata dalla tireotropina ricombinante umana. Nel corso di 3 anni sono stati arruolati 752 pazienti, dei quali il 92% aveva un cancro papillare, ma solo su 684 di essi si sono potuti valutare i dati. In 652 soggetti (95%) l’ecografia del collo è risultata normale, e il livello di tireoglobulina stimolata è risultato di 1 ng/mL o meno in 621 dei 652 pazienti (95%) senza anticorpi antitireoglobulina rilevabili. L’ablazione tiroidea è apparsa completa in 631 pazienti su 684 (92%). Il tasso di ablazione è risultato equivalente tra le dosi di radioiodio e i metodi di stimolazione della tireotropina. Non si sono avuti gravi eventi avversi inattesi.

N Engl J Med, 2012; 366:1663-73

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Tumore al seno, aumentano le cancer-survivor

18 Lug 2012 Oncologia

Nell’Unione europea il numero di donne decedute per cancro al seno diminuirà quest’anno del 9% e di oltre il 13% nella fascia d’età fra i 20 e i 49 anni. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori italiani e svizzeri – appartenenti rispettivamente al Dipartimento di epidemiologia dell’Istituto di ricerche farmacologiche Mario Negri di Milano e all’Istituto di medicina sociale e preventiva (Iumsp) dell’università di Losanna – recentemente pubblicato su Annals of oncology. Si tratta di un trend globale ma che interessa i singoli Paesi. Del resto questi dati sono in linea con quelli attuali italiani, secondo cui a 5 anni dalla diagnosi sopravvive l’87% delle donne colpite da tumore del seno. Una percentuale tra le più rilevanti in Europa e che consente ai medici di ampliare lo spettro di attenzione alle fasi pre- e post-malattia. «Il passaggio della donna da cancer-patient a cancer-survivor orienta l’intervento del terapeuta al recupero della vita della paziente nella sua completezza» ha affermato Patrizia Vici, oncologo all’Istituto Regina Elena (Ire) di Roma, tra gli organizzatori di un incontro dedicato all’analisi dei fattori di rischio, alla prevenzione farmacologica (fasi pre-malattia) e alla preservazione della fertilità (post-malattia). I principali fattori di rischio sono stati identificati nei difetti genetici, nelle stimolazioni ormonali ripetute per indurre gravidanza e nell’impiego di ormoni per alleviare i disturbi legati alla menopausa. La prevenzione farmacologica, che sta riscontrando sempre più interesse, consiste invece nel somministrare agenti ormonali specifici (come il tamoxifene) in pazienti a rischio di sviluppare un tumore prima che la neoplasia si manifesti. Quanto alla fase post-malattia, per la valutazione della fertilità all’Ire «è già operativa la valutazione plasmatica di due ormoni, l’inibina B e l’ormone antimülleriano» fa sapere Ruggero De Maria, direttore scientifico dell’Ire. Restano ancora da definire metodiche emergenti come il trapianto di tessuto ovarico.

Ann Oncol, 2012 Feb 28. [Epub ahead of print]

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Le recenti linee guida ACP per lo screening del cancro colo-rettale

13 Lug 2012 Oncologia

Il cancro colorettale (CRC) costituisce la seconda causa di morte cancro-correlata negli USA sia per gli uomini che per le donne, e lo screening per una sua individuazione precoce andrebbe eseguito in tutta la popolazione sopra i 50 anni. Purtroppo solo il 60% della popolazione adulta esegue gli esami di screening e questo nonostante l’impegno delle Società Scientifiche. Recentemente gli Annals hanno pubblicato le ultime linee guida (LG) dell’American College of Physicians, che in estrema sintesi raccomandano (vedi tabella 2, Figure 1 e 2)

  1. il medico dovrebbe essere in grado di individuare e valutare i fattori di rischio per morbilità e mortalità di CRC, che consistono nell’età anziana, nella razza nera, nell’anamnesi positiva per infiammazione intestinale, poliposi e CRC e nella familiarità per CRC
  2. il medico dovrebbe sottoporre a screening tutta la popolazione sopra i 50 anni, ma nella popolazione ad alto rischio lo screening andrebbe effettuato già a partire dai 40 anni e, se vi è familiarità, 10 anni prima dell’età del  più giovane componente della famiglia in cui si è fatta diagnosi di CRC; lo sforzo e gli eventuali pericoli vengono premiati in termini di riduzione della mortalità
  3. i pazienti a medio rischio possono essere  sottoposti a colonscopia, a sigmoidoscopia e/o a ricerca del sangue occulto nelle feci (SOF) secondo valutazioni che includono le preferenze del paziente stesso; comunque dopo i 50 anni i pazienti a medio rischio andrebbero sottoposti a colonscopia ogni 10 anni, a sigmoidoscopia o a colonscopia virtuale o clisma opaco a doppio contrasto ogni 5 e a ricerca SOF ogni anno
  4. i pazienti ad alto rischio vanno sottoposti a colonscopia e non a sigmoidoscopia
  5. dopo i 75 anni e nei pazienti con spettanza di vita inferiore a 10 anni i test di screening andrebbero interrotti, perché i pericoli (sanguinamento, perforazioni  intestinali, reazioni avverse dovute alla preparazione) superano i benefici.

Qaseem A et al. Ann Intern Med2012;156:378-386

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Prognosi buona se il melanoma è sottile

1 Lug 2012 Oncologia

La prognosi a lungo termine dei pazienti con melanoma sottile è positiva, mentre è giustificata una vigilanza clinica continua nei soggetti con melanoma nodulare o con tumori di maggiore spessore. Il dato proviene da una ricerca condotta nel Queensland, in Australia, dove sono stati definiti i tassi di sopravvivenza a 20 anni di pazienti con diagnosi di melanoma sottile (=/<1 mm) nella popolazione generale, determinando anche i principali fattori prognostici. I ricercatori, facenti capo ad Adèle C. Greene del Royal Brisbane hospital, hanno estratto dal Registro statale del cancro i dati clinici e istologici disponibili riguardanti tutti i pazienti cui era stata posta la diagnosi di singolo melanoma invasivo sottile tra il 1982 e il 2006; questi dati sono stati quindi confrontati con le certificazioni di morte. Sono state infine silate stime di sopravvivenza specifiche per il melanoma a tutto il 31 dicembre 2007. Nell’ambito delle 26.736 persone nello stato del Queensland con diagnosi di melanoma sottile, il tasso di sopravvivenza a 20 anni è risultato del 96%. I fattori di maggiore impatto sulla prognosi sono apparsi uno spessore tumorale =/>0,75 mm (hazard ratio, Hr: 4,33 rispetto a lesioni <0,25 mm) e un’età al momento della diagnosi superiore a 65 anni (Hr: 2,8 rispetto a età inferiore a 25 anni). I fattori che, ognuno in modo indipendente, hanno  aumentato il rischio di morire per melanoma sottile invasivo si sono dimostrati: i melanomi acrali lentigginosi e i tumori nodulari, il sesso maschile, la localizzazione del tumore sulla testa o sul collo, l’invasione dell’intero derma papillare.

J Clin Oncol, 2012 Mar 12. [Epub ahead of print]

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Da rivedere i criteri di diagnosi precoce del tumore ovarico

12 Giu 2012 Oncologia

Secondo uno studio canadese, la percentuale di carcinomi sierosi ad alto grado che originano esternamente all’ovaio suggerisce che i programmi di diagnosi precoce dovrebbero cercare di identificare i tumori a basso volume piuttosto che quelli ai primi stadi e che gli approcci diagnostici dovrebbero essere modificati di conseguenza. Tra il 2008 e il 2011, Lucy Gilbert e collaboratori della McGill university di Montreal hanno incluso nello studio 1.455 donne di almeno cinquant’anni che presentavano i sintomi del tumore dell’ovaio e hanno proposto loro un controllo diagnostico dell’antigene carboidrato 125 (CA-125) e un’ecografia transvaginale (Tvus) presso lo University health centre di Montreal. Il 27,6% di loro avevano più di 65 anni e appartenevano dunque al gruppo di più alto rischio relativamente all’età e nel 16,4% dei casi si sono resi necessari approfondimenti diagnostici ulteriori. In totale sono stati identificati 22 tumori ginecologici tra cui 11 tumori invasivi dell’ovaio, compresi 9 carcinomi sierosi ad alto grado, che statisticamente comportano il maggior numero di decessi. Quindi, la prevalenza dei tumori ovarici invasivi è stata dello 0,76%: dieci volte superiore di quella riportata in studi relativi a screening generalizzati. Dei carcinomi sierosi ad alto grado, sette (il 78%) hanno avuto origine all’esterno dell’ovaio e cinque si sono associati ad aumenti leggeri nelle concentrazioni di CA-125 e a minime o nessuna anomalia rilevabili attraverso la Tvus. Anche se lo screening delle donne sintomatiche ha dimostrato di portare a una diagnosi precoce, gli autori ritengono prematuro estendere questo approccio su larga scala.

Lancet Oncol, 2012; 13(3):285-91

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Test genetico individua soggetti a rischio di recidive di Nsclc

31 Mag 2012 Oncologia

Messo a punto un test basato su Pcr (reazione a catena della polimerasi) che consente di identificare, nell’ambito dei pazienti affetti da tumore polmonare non a piccole cellule (Nsclc) non squamoso in stadio precoce, quelli ad alto rischio di exitus dopo resezione chirurgica. È un avanzamento importante; la gestione di questi pazienti finora è dipesa da una stadiazione prognostica basata sulla probabilità della presenza di malattia occulta metastatica sfuggita all’asportazione completa del tumore. Il test quantitativo di espressione di 14 geni, in grado di differenziare pazienti con prognosi eterogenee su base statistica, è stato sviluppato in 361 pazienti con Nsclc di stadio I, resecati presso l’università di California, a San Francisco. Il metodo è stato quindi validato in modo indipendente alla Kaiser permanente division of research in una coorte in cieco di 433 pazienti con Nsclc non squamoso di stadio I lì operati e su 1.006 pazienti con Nsclc non squamoso di fase I-III resecati in vari centri leader cinesi del cancro, appartenenti al Consorzio cinese dei trial clinici (Cctc). L’analisi di Kaplan-Meier sulla coorte di validazione della Divisione Kaiser ha evidenziato una sopravvivenza globale a 5 anni del 71,4% nel gruppo identificato come a basso rischio, del 58,3% nel gruppo intermedio, del 49,2% nei pazienti ad alto rischio. Analisi simili sulla coorte Cctc indicano una sopravvivenza a 5 anni del 74,1% nel gruppo a basso rischio, del 57,4% nel gruppo intermedio, e del 44,6% tra i pazienti ad alto rischio. L’analisi multivariata in entrambe le coorti ha mostrato che non esistono fattori di rischio clinico standard che possano fornire le informazioni prognostiche derivate dall’espressione dei geni tumorali. Il test ha dimostrato di differenziare i pazienti con rischio basso, intermedio e alto in tutti gli stati di malattia. Lancet, 2012; 379(9818):823-32

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Ca vescicale non muscolo-invasivo, prognosi circolanti

19 Mag 2012 Oncologia

Il riscontro di cellule tumorali circolanti nei pazienti con cancro vescicale non muscolo-invasivo può permettere la distinzione tra soggetti ad alto rischio di recidiva da quelli ad alto rischio di progressione; inoltre, consente di identificare precocemente i soggetti candidati alla terapia adiuvante. È quanto sostengono Paola Gazzaniga, dell’università La Sapienza di Roma, e collaboratori, alla luce dei risultati di uno studio nel quale hanno coinvolto 44 pazienti affetti dalla neoplasia citata, inserendoli in un programma di follow-up a 24 mesi. Tutti i partecipanti sono stati sottoposti a prelievi del sangue al momento della prima diagnosi e si è proceduto in laboratorio al conteggio delle eventuali cellule tumorali circolanti. Queste ultime sono state rinvenute nel 18% dei pazienti. Il riscontro di tali cellule si è rivelato significativamente associato a un tempo più breve trascorso fino alla comparsa della prima recidiva (6,5 vs 21,7 mesi). Inoltre, la presenza delle cellule tumorali circolanti è risultato associato a carcinoma in situ concomitante e a una categoria T più elevata.

Ann Oncol, 2012 Feb 28. [Epub ahead of print]

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