Epatite C acuta: due indicatori per la prognosi

La presenza di mutazioni del gene IL28B associate ai livelli sierici di IP-10 (Interferon-gamma-inducible protein-10/proteina-10 inducibile dall’Interferone gamma) sono in grado di identificare quei pazienti affetti da epatite C acuta in cui l’infezione si risolve spontaneamente e quelli che necessitano di un trattamento antivirale precoce. È quanto emerge da uno studio condotto da ricercatori dell’università di Vienna guidati da Sandra Beinhardt che ha confrontato 120 pazienti con epatite C acuta e 96 individui sani. Le mutazioni prese in considerazione dai ricercatori austriaci sono due polimorfismi a singolo nucleotide (rs12979860 e rs8099917) rilevati tramite Pcr (Polymerase chain reaction), mentre i livelli sierici di IP-10 sono stati misurati con test Elisa. La combinazione ottimale per identificare i pazienti che presentano le maggiori probabilità di clearence spontenea è rappresentata dalla presenza del genotipo rs12979860 C/C e livelli di IP-10 inferiori a 540 pg/ml: queste caratteristiche sono infatti riscontrabili nell’83% dei pazienti in cui l’infezione si risolve spontaneamente.

Gastroenterology, 2011 Sep 28. [Epub ahead of print]

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Prevenzione e trattamento della malattia diverticolare

La cura della malattia dei diverticoli si basa prevalentemente su studi non controllati: c’è qualche evidenza di sollievo dai sintomi ma il ruolo del trattamento nella prevenzione della diverticolite acuta resta dubbio. Così si conclude una review sistematica tutta italiana, coordinata da Giovanni Maconi, dell’Ospedale universitario Sacco di Milano. Sono stati considerati tutti i trial clinici prospettici, dal 1966 al 2010, che hanno avuto come oggetto la malattia dei diverticoli del colon. Principali outcomes degli studi presi in esame sono stati il miglioramento dei sintomi, la loro completa remissione e la prevenzione della diverticolite acuta. In totale, sono stati identificati 31 trial, di cui 6 placebo-controllo, nel complesso di qualità subottimale. Soltanto 10 lavori hanno fornito un quadro dettagliato della storia del paziente, 8 hanno valutato i sintomi per mezzo di un questionario validato e 14 hanno definito appropriatamente i criteri di inclusione ed esclusione. Un solo studio – caratterizzato per essere placebo-controllato, in doppio cieco e a lungo termine – ha evidenziato un miglioramento significativo dei sintomi e una maggiore prevalenza di pazienti liberi da sintomi dopo un anno di assunzione di fibre più rifaximina rispetto alle sole fibre. L’efficacia del trattamento nella prevenzione della diverticolite acuta è stata valutata in 11 trial randomizzati. In 4 trial, basati sul confronto tra rifaximina più fibre versus solo fibre, non è emersa una significativa differenza tra i due trattamenti. Tuttavia, i dati cumulativi emersi da questi studi hanno evidenziato il raggiungimento di un beneficio significativo impiegando rifamixina e fibre (tasso a un anno di diverticolite acuta: 11/970 versus 20/690), ma con un number-needed-to-treat pari a 57, nella prevenzione di un attacco di diverticolite acuta.

Dis Colon Rectum, 2011; 54(10):1326-38

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Esercizi di resistenza per la steatosi epatica non alcolica

Gli esercizi anaerobici di resistenza migliorano il quadro della steatosi epatica non alcolica indipendentemente da qualsiasi variazione del peso corporeo. Resta però da capire se questi benefici persistano a lungo termine. È quanto emerge da una ricerca inglese coordinata da Kate Hallsworth, dell’istituto di Medicina cellulare dell’università di Newcastle. Lo studio ha coinvolto 19 adulti sedentari affetti da steatosi epatica non alcolica; per otto settimane, 11 di questi sono stati sottoposti a esercizi di resistenza e 8 hanno continuato il consueto trattamento. Al termine dei due mesi, si è visto come molti parametri siano migliorati grazie all’esercizio di resistenza: contenuto lipidico nel fegato (riduzione relativa: 30%), ossidazione lipidica, controllo del glucosio, indice Homa nella valutazione dell’insulino-resistenza. Questi risultati clinici positivi sono stati ottenuti senza che si sia registrata una diminuzione del peso corporeo, del volume del tessuto adiposo viscerale o della massa grassa totale. È la prima volta, sottolineano gli studiosi, che si accerta il ruolo efficace dell’esercizio di resistenza nella gestione della steatosi epatica non alcolica. Gut, 2011; 60(9):1278-83

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Terapia di mantenimento del Crohn: dubbi oltre i 18 mesi

Nel mantenimento della remissione per la malattia di Crohn, un chiaro beneficio deriva dalla continuazione per almeno 18 mesi della terapia con azatioprina (Aza) e 6-mercaptopurina (6-Mp). Al momento per? l’evidenza non ? sufficiente per prendere decisioni sull’opportunit? di continuare questa terapia oltre il diciottesimo mese. La metanalisi che ha approfondito la questione ? frutto del lavoro di un team di gastroenterologi inglesi sotto la guida di Wael El-Matary dell’Alder Hey children’s Nhs foundation trust di Liverpool: i ricercatori hanno analizzato i dati di 5 studi randomizzati e di coorte, corrispondenti a 256 pazienti e 168 controlli, avviati a terapia di mantenimento con azatioprina versus placebo o nessun trattamento. Gli outcome primari consistevano nei tassi di recidiva in seguito alla sospensione di Aza/6-Mp dopo 6, 12 e 18 mesi e dopo 5 e 10 anni. Lo stop al trattamento con Aza e 6-Mp ha comportato un significativo incremento del rischio di recidiva al 6?, 12? e 18? mese, con valori di rapporto crociato (Or) combinato rispettivamente pari a 0,22, 0,25 e 0,35. Due trial hanno esaminato il tasso di recidiva dopo 5 anni evidenziando un Or combinato pari a 0,53. Non ? stato identificato nessun trial che abbia esaminato i tassi di recidiva dopo 5 anni.

Dig Dis Sci, 2011 Apr 8. [Epub ahead of print]

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Finalmente concrete?prospettive di terapia delle epatiti croniche da HCV genotip

Dopo un’attesa di molti anni si prospetta la possibilit? di un reale miglioramento dei risultati della terapia dei pazienti con epatite cronica da HCV genotipo 1. Al meeting dell’AALDS di Boston dell’ottobre 2010 sono stati presentati i risultati di 4 studi di grandi dimensioni realizzati con l’impiego, in associazione al peginterferone alfa ed alla ribavirina, di 2 inibitori della proteasi di HCV, il boceprevir e il telaprevir. I due studi con boceprevir hanno evidenziato – nei soggetti non trattati in precedenza con antivirali (studio SPRINT-2) – un significativo incremento del numero di risposte virologiche sostenute, anche dopo periodi di trattamento pi? brevi rispetto al trattamento standard (48 settimane) con peginterferone e ribavirina. Risultati analoghi si sono verificati anche nei pazienti non responder o relapser (studio RESPOND-2). La triplice terapia ? gravata da una pi? marcata anemizzazione e da una frequente disgeusia. Anche i due studi con telaprevir (ADVANCE e ILLUMINATE) hanno documentato in soggetti non trattati in precedenza la possibilit? sia di ottenere un maggior numero di risposte virologiche sostenute, sia di poter attuare schemi di terapia pi? brevi. Tali schemi consentono anche di ridurre gli effetti indesiderati, in particolare rush cutanei di tipo eczematoso, prurito, nausea, diarrea e marcata anemizzazione. Sull’efficacia terapeutica di telaprevir c’? da aggiungere che nel 2010 Mc Hutchison et al. avevano pubblicato sul NEJM uno studio che dimostrava come nei pazienti non responder alla terapia con peginterferone alfa e ribavirina l’associazione con telaprevir risultava pi? efficace rispetto al trattamento con la precedente terapia. La prospettiva di trovarsi finalmente di fronte ad una reale modificazione degli effetti della terapia delle epatiti croniche da HCV genotipo 1 appare dunque davvero concreta. Gli studi di cui si ? detto sono registrativi e dunque utili per poter ottenere la commercializzazione di boceprevir e telaprevir. Naturalmente ulteriori studi ed un’attenta farmacovigilanza dovranno chiarire meglio il profilo di sicurezza di questi farmaci e dovranno dirci se il loro impiego possa dare significativi vantaggi anche nella terapia delle epatiti croniche sostenute da genotipi pi? facili, rispetto al genotipo 1, in termini di risposte terapeutiche, tenuti presenti anche l’incremento dei costi ed il rischio di un maggior numero di effetti indesiderati.?

Piazza M. Epatiti virali acute e croniche. News online 2011
Mc Hutchinson JG et al. Telaprevir for Previously Treated Chronic HCV Infection. N Engl J Med 2010; 362: 1292

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H. pylori: la resistenza varia con la sede dell’infezione

La mancata eradicazione di Helicobacter pylori pu? essere dovuta alla resistenza agli antibiotici e alla presenza di un’infezione mista. Per approfondire la questione uno studio italiano, condotto da Leonardo Marzio, unit? di Fisiopatologia digestiva dell’Universit? G. d’Annunzio di Chieti-Pescara e collaboratori, ha indagato l’incidenza di infezione mista e di resistenza discordante agli antibiotici in pazienti mai trattati o gi? trattati in precedenza. La conclusione ? che la coltura e il test di suscettibilit? dovrebbero essere eseguiti quando necessario non solo nell’antro ma anche nel fondo dello stomaco dei pazienti con infezione da H. Pylori. Il test di suscettibilit? riguardava amoxicillina, rifabutina, tinidazolo, claritromicina, levofloxacina e moxifloxacina, ed ? stato eseguito su ceppi in coltura di H. pylori provenienti da 76 pazienti mai trattati e 72 pazienti gi? trattati ma senza successo. Il Dna fingerprinting ? stato determinato su ceppi di H. pylori dello stesso paziente con resistenza discordante allo stesso antibiotico. Infezione pangastrica ? stata registrata nel 40% dei soggetti mai trattati e nel 53% di quelli gi? trattati. La resistenza globale ad amoxicillina, claritromicina e tinidazolo ? risultata significativamente pi? alta nei pazienti con infezione pangastrica rispetto a quelli con infezione limitata all’antro. Resistenza discordante era presente nel 33% dei pazienti mai trattati e nel 21% dei soggetti gi? trattati. La determinazione del Dna fingerprinting ha rilevato sostanziali differenze dei patterns di Dna, dato suggestivo di infezione mista.

Eur J Gastroenterol Heaptol, 2011; 23(6):467-72

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Colonscopia riduce il rischio di tumore colorettale

Negli over-49 anni, la colonscopia eventualmente seguita da polipectomia riduce il rischio di cancro colorettale (Crc) in modo marcato; in particolare, oltre a una forte riduzione del rischio nel colon discendente, si registra anche una significativa diminuzione del rischio nei tumori del colon ascendente (pi? del 50%). Il dato emerge da una ricerca tedesca, condotta dall’?quipe di Hermann Brenner, del Centro tedesco di ricerca sul cancro presso l’universit? di Heidelberg, nella quale sono stati coinvolti 1.688 pazienti con Crc e 1.932 controlli, tutti di et? non inferiore a cinquant’anni. In questi soggetti sono stati valutati i fattori di rischio e quelli preventivi di Crc, con particolare riguardo all’anamnesi, ai risultati di precedenti colonscopie e ai dati medici, autoriferiti o ripresi da cartelle cliniche. Il rapporto crociato (odds ratio, Or) di Crc associato a colonscopia ? stato stimato nei dieci anni precedenti, dopo aggiustamento in base a sesso, et?, scolarit?, partecipazione a programmi di screening, familiarit? per Crc, abitudine al fumo, indice di massa corporeo e assunzione di Fans o terapia ormonale sostitutiva. ? emerso che la colonscopia nei dieci anni precedenti ? associata a una riduzione del rischio di Crc del 77%. In particolare, le Or si sono attestate su 0,23 per tutti i tipi di Crc, su 0,44 per il Crc ascendente e su 0,16 per il tratto discendente del colon. Questa massiccia riduzione ha interessato tutti gli stadi del tumore e ogni et?, con l’eccezione del Crc ascendente nei soggetti con un’et? compresa tra i 50 e i 59 anni. La riduzione del rischio, inoltre, ? aumentata nel corso degli anni e ha coinvolto sia il colon ascendente che quello discendente.

Ann Intern Med, 2011; 154(1):22-30

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Il reflusso gastroesofageo raddoppia la probabilit? di asma

I pazienti con malattia da reflusso gastroesofageo (Gerd) hanno un rischio significativamente superiore di comorbilit? asmatica rispetto a chi non soffre di Gerd. La dimostrazione di un dato finora controverso viene da uno studio svolto a Taiwan da Ming-Chieh Tsai, dell’universit? medica di Taipei, e collaboratori, su dati – provenienti dall’archivio informatico dell’Ente assicurativo nazionale e raccolti nel 2006 – relativi a 61.941 pazienti e altrettanti controlli, rappresentativi dell’intera popolazione dell’isola. Per valutare il rischio di comorbilit? per asma in caso di presenza o assenza di Gerd si ? ricorso alla regressione logistica condizionata; le analisi sono state inoltre stratificate per genere ed et?. Nel periodo considerato, su un totale di 123.882 pazienti studiati, il 3% (3.681 soggetti) ha ricevuto una diagnosi di asma; questi pazienti corrispondevano al 3,9% dei individui con Gerd (2.427 dal gruppo in studio) e al 2% di soggetti senza Gerd (1.254 dal gruppo di confronto). La probabilit? di un asma concomitante nei soggetti con Gerd ? risultata 1,97 volte superiore rispetto a quella dei pazienti senza Gerd. Dopo stratificazione per classi d’et?, infine, i rapporti incrociati (Or) per Gerd con asma concomitante si sono attestati su 2,61 nei pazienti di et? compresa tra 18 e 44 anni, 2,00 tra 45 e 64 anni, 1,58 tra 65 e 74, e 1,80 per quelli di et? =/>75 anni.?

Eur J Gastroenterol Hepatol, 2010; 22(10):1169-73

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L’indice di massa corporea ? predittivo di risposta ai Ppi

Nei pazienti con sintomi del tratto gastrointestinale superiore la risposta agli inibitori della pompa protonica (Ppi) ? probabilmente correlata al reflusso acido. In questo contesto, il forte valore predittivo dell’indice di massa corporea (Bmi) sembra attribuibile all’associazione con il sottostante reflusso acido e al fatto che si tratti di un parametro pi? obiettivo e riproducibile rispetto alle caratteristiche sintomatologiche. Si raccomanda pertanto la misurazione del Bmi in questa categoria di pazienti. A questa conclusione perviene il gruppo di Jonathan Fletcher del Gardiner institute dell’universit? di Glasgow, al termine di uno studio prospettico randomizzato che ha coinvolto 105 pazienti con risultati endoscopici normali, negativit? al test per H. pylori e sintomi del tratto gastrointestinale superiore dopo 2 settimane di run-in. I pazienti sono stati assegnati in modo casuale a un gruppo trattato con lansoprazolo (30 mg/die) per 2 settimane e a un gruppo placebo ed ? stata eseguita la rivalutazione della gravit? dei sintomi durante la seconda settimana di trattamento. In base all’analisi intention-to-treat, ? stata registrata una risposta del 35,7% nel gruppo in terapia e del 5,7% in quello placebo. All’analisi che ha tenuto conto delle variabili multiple, l’indice di massa corporea ? emerso come l’unico fattore predittivo indipendente e non invasivo di risposta al Ppi. Tale associazione tra Bmi e risposta al farmaco ? risultata apprezzabile in tutti i quartili e si ? mantenuta tale anche considerando i dati della manometria e della pH-metria esofagee acquisiti prima della randomizzazione. Viceversa il sintomo predominante e i vari sottogruppi sintomatologici non si sono rivelati utili nel predire la risposta al Ppi. Tenendo conto di tutte le valutazioni effettuate prima del trattamento, solo il Bmi e la pressione dello sfintere esofageo inferiore si sono dimostrati fattori predittivi indipendenti di risposta.

Gut, 2010 Dec 15

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Infliximab per la colite ulcerosa, outcome e fattori predittivi

Nei pazienti con colite ulcerosa una mancata risposta primaria a infliximab si osserva in un quinto dei casi e aumenta di sette volte i rischi di colectomia e di quattro volte quelli di ospedalizzazione. L’ottimizzazione della terapia con infliximab, la colectomia e il ricovero in ospedale si richiedono rispettivamente nella met?, in un quinto e in un terzo dei pazienti. Laddove infliximab trova indicazione per colite acuta severa i rischi di ottimizzazione della terapia, colectomia e ospedalizzazione correlata alla malattia risultano triplicati. Queste le conclusioni di una multicentrica retrospettiva effettuata da Abderrahim Oussalah e collaboratori dell’Inserm e del Dipartimento di epato-gastroenterologia dell’Ospedale universitario di Nancy (Francia), su 191 pazienti con colite ulcerosa (Uc) trattati con almeno un’infusione di infliximab e seguiti per un follow-up mediano di 18 mesi. Una mancata risposta primaria ? stata notata in 42 pazienti (22%). Un valore di emoglobina 10 mg/l all’instaurazione della terapia” (Hr = 5,11), “indicazione di infliximab per colite acuta severa” (Hr = 3,40) e “trattamento pregresso con ciclosporina” (Hr = 2,53). Almeno un ricovero in ospedale si ? reso necessario per 69 pazienti (36,1%) mentre il tasso di ospedalizzazione correlato a Uc ? risultato pari a 29 per 100 anni-paziente. Di seguito, infine, i fattori predittivi della prima ospedalizzazione: “mancata risposta clinica dopo induzione con infliximab” (Hr = 3,87), “indicazione di infliximab per colite acuta severa” (Hr = 3,13), “durata della malattia al momento dell’inizio della terapia

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